martedì 12 novembre 2013

Sciarpe eloquenti


La moda passa, lo stile resta. 
Frase che entra di diritto nella classifica delle dieci peggio utilizzate: strattonata, maltrattata e resa, un po' tristemente, iconicamente vuota. Riconsegnata a Coco Chanel, ha un altro fascino.
Il fatto è che ormai essere alla moda non va più di moda. Tutti ricercano ansiosamente l'anticonvenzionale nel tentativo di emergere per contrasto, dimenticando che la risultante di un calcolo troppo preciso e studiato non è che un insieme rigido, freddo, sconnesso e disomogeneo. Chiedo ufficialmente scusa per la piagnucolosa introduzione in cui mi lamento di quanto sia brutta e cattiva l'omologazione delle masse e inneggio alla "express yourself"; ahimè, mi sono lasciata tentare.
Le mode, poi, passeranno anche, ma ritornano sempre. I colori si rimescolano, modelli di generazioni passate riemergono dal fondo degli armadi, stampe e tessuti aspettano pazientemente il loro turno per riproporsi nuovamente; le regole in fondo sono date per restituire un senso alla trasgressione. Io trovo che sia una forma di ricchezza: la moda in quanto arte non dovrebbe morire mai, semplicemente rigenerarsi, come forma vuota che la storia riempie di volta in volta di sensi diversi.
Anche se mi sarebbe piaciuto (giusto un pochino), non è stato necessario presenziare a New York o a Paris per intuire che una delle corsie preferenziali di questa stagione autunno inverno spetta al tartan(sì, i quadratoni dei kilts). Dire tartan fa molto figo, è innegabile, ma questo non toglie che strade e vetrine ne siano stracolme: la stampa scozzese ha raggiunto e conquistato ogni possibile meta, dai maglioncioni che sembrano subito più caldi, alle mantelline per cani che fanno tendenza.
Ai limiti del commovente, vorrei testimoniare l'irresistibile ascesa delle mie ciabatte chuck, che, tra i tanti, ringraziano calorosamente Moschino come Saint Laurent per aver onorato i loro caratteristici quadrati rossi e neri. La parabola che le vede protagoniste raggiunge la massima intensità proprio tra la giravolta di una modella imbronciata e il colpo d'anca della russa alta un metro-e-me, attimo in cui, dalla passerella ai miei piedi, le loro quotazioni si gonfiano fino quasi ad esplodere. Una storia che inizia molto prima: rigorosamente conquistate con i punti del supermercato, si contraddistinguono sin da subito per capacità di adattamento; da fermaporta a giocattolo del cane, il riscatto è stato considerevole. Eppure, tra me e il tartan, per un motivo inconscio, forse illogico e addirittura arcaico, c'è empatia. L'ho capito quando una sciarpa mi ha parlato. Ve lo giuro, i vestiti parlano se li ascoltate, sanno essere molto eloquenti. Inutile dire quanto sia morbida, calda e avvolgente; perfetta per affrontare il gelo imminente così come le intense giornate letto-divano-letto. È una cosa seria, la mia sciarpa è multitasking: tanto ampia da poter diventare una gonna a portafoglio, un caldo vestito che potrete indossare il giorno di Natale per stupire la famiglia, un insolito turbante che vi farà invidiare dal più spietato collezionista di copricapi, oppure un confortevole plaid, ovviamente condivisibile in due. Eppure è stata la stoffa, lavorata a più fili nel caratteristico intreccio, a legarmi a lei. Ho saputo subito che sarebbe stata mia, nel momento in cui per la prima volta ci siamo guardate. Il mio amore per i francesismi mi porta a dire che è stato quel je ne sais quoi intrinseco nel motivo scozzese della sciarpa, ma in un secondo momento ho esattamente capito il perché di quel legame. Avete mai provato a pensare intensamente al primo ricordo che avete? Quello è il momento in cui è nata la vostra autocoscienza, la consapevolezza del sè. Secondo la psicologia ormai è certo che lo scatto interiore avvenga intorno ai due anni, ma, a livello pratico, risalire la memoria fino al principio di essa non è un esercizio altrettanto ovvio. Ho quasi finito di divagare, promesso. Il punto è che, se  chiudo gli occhi e mi concentro, riesco chiaramente a riconoscere le mani della mia mamma che cercano di far passare dentro un vestitino scozzese le braccia di una bambina un po' impacciata. E poi una catena di immagini, sempre nella stessa fantasia: fermagli, camicette, gonne. Tutto si intonava così bene ai colori che mia madre preferiva, blu notte, bordeaux, caramello, e alla carta da parati della casa del nonno dove da piccola trascorrevo il Natale, in Borgogna. L'insieme era perfetto, bon ton e un po' da principessa, esattamente come volevo essere, ed esattamente in contrasto con l'altro lato che allo stesso modo amavo: felpe ampie, tennis ai piedi, e capelli raccolti con grandi elastici; la divisa ufficiale con cui giocavo in campagna, collezionando le innumerevoli ferite di guerra senza il rischio di bucare i collant. 
Ah, e poi la fantasia della mia sciarpa è esattamente identica a quella della sua camicia, che gli sta così bene. Non è banale; i vestiti ci appartengono, dicono qualcosa di ciò che siamo se ci lasciamo raccontare e se li sappiamo interpretare, possono avvicinarci alle persone, anche quando sono distanti, anche quando se ne vanno. 
Cosa resta poi? Le mode sono ciò che ci piace, ciò che vogliamo, ciò che scegliamo. 
L.




Photo by Camilla Garibaldi






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